Carmassi: togliere i libri alle donne o togliere la penna a sedicenti giornalisti?


Cecilia Carmassi risponde alla provocazione del giornalista di Libero che sostiene la tesi secondo cui ci sarebbe uno stretto legame tra scolarizzazione delle donne e declino demografico.


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Qualcuno dice già che è assurdo parlarne. Ma l'articolo di Langone sulla natalità (Libero del 30 novembre) merita qualche breve risposta. E non solo per la superficialità con cui tratta il tema natalità e lo stravolgimento dei dati della realtà:  soprattutto per un approccio maschilista, che speravamo superato, ma con cui evidentemente dobbiamo ancora fare i conti. Innanzitutto i dati.  Langone sembra ignorare quelli, riportati da tutte le statistiche, secondo cui in Italia si fanno meno figli ma, a differenza della Germania ogni coppia desidererebbe avere almeno un figlio in più di quello che ha. 
Se c'è un desiderio insoddisfatto, il primo obiettivo dovrebbe essere indagarne le cause e cercare di rimuoverle. Ricordo ancora Giovanardi e quel che diceva alla Conferenza nazionale sulla famiglia: le donne sono diventate egoiste e carrieriste;  per questo non fanno figli. Sarebbe piuttosto il caso di porsi una domanda: perché in altri paesi le donne lavorano e fanno figli e invece in Italia è sempre più difficile conciliare vita familiare e vita lavorativa? Non ci sarà qualcosa di strutturale da modificare per raggiungere almeno gli standard di altri paesi "evoluti"? Da noi non inciderà l’azzeramento dei già deboli investimenti sui servizi per l'infanzia e l'assistenza alle persone, quando nei paesi europei in cui il tasso di natalità ha ripreso a crescere si è investito soprattutto su questo? Secondo, l'occupazione femminile: qualcuno pensa che le donne dovrebbero stare a casa a fare figli: peccato che uno dei fattori di scarsa crescita del nostro Paese è proprio il basso tasso di attività lavorativa delle donne (le stime dicono che se raggiungiamo il 60% di occupazione femminile otteniamo 6-7 punti PIL solo per questo). Le ricerche evidenziano inoltre che il maggiore rischio di povertà in Italia viene corso dalla famiglia mono-reddito con più figli. Natalità, occupazione delle donne e lotta alla povertà sono quindi cose che marciano di pari passo.
Il problema è che le donne mirano a grandi carriere e quindi studiano quando dovrebbero fare figli? In parte è vero: l'anomalia italiana è anche qui, non ci sono sostegni per studentesse che affrontano gravidanza, per cui restare incinte mentre si studia comporta quasi sempre l'abbandono degli studi. La laurea, poi, non garantisce  di per sé l’ingresso nel mondo del lavoro. Servono tirocini, master, e anni di precariato: permettersi una gravidanza in una situazione del genere è ovviamente impensabile.  In chi compie studi universitari, l’età del primo figlio si sposta per questo molto in avanti, e va spesso bene oltre i 35 anni.  Risulta ovvio che le possibilità di avere figli diminuiscano e che talvolta anche un solo figlio sia già un successo. Ma c'è anche un dato psicologico e sociale con cui fare i conti: una donna che studia e acquisisce competenze, che deve competere per farsi strada nel mondo del lavoro è spesso meno remissiva e più paritaria anche nel rapporto di coppia: e questo negli ultimi anni si è rivelato un fattore di difficoltà per gli uomini e per la loro identità, storicamente determinata su una diversa divisione dei ruoli. Certo, la possibilità di costruire coppie che investono sulla stabilità del rapporto (un figlio, più di un diamante, è per sempre, oserei dire), risente di questo cambiamento culturale ancora non pienamente assunto dalla componente maschile, se è vero -  come è vero -che alcuni matrimoni entrano in crisi per il solo fatto che il marito guadagna meno della moglie (situazioni del genere sono chiaramente più complesse ma il fattore di crisi è spesso proprio questo).
Perciò, quando Langone dice che sarebbe utile far studiare meno le donne, in realtà si perde in un amarcord e guarda il tempo in cui l'unico sogno delle donne era essere "prese in moglie" e accudire per tutta la vita i loro cari. Guarda cioè a un’epoca in cui si parlava solo di maternità e mai di genitorialità. E tanto meno di genitorialità responsabile. Sì, perché alla fine quello che lascia veramente l'amaro in bocca dell'articolo di Langone è proprio la visione tutta funzionale della donna: abbiamo bisogno che nascano più bambini, i bambini li fanno le donne, concentriamo le donne sulla produzione di bambini: non solo una visione offensiva per tutto il genere femminile, ma per il genere umano in generale. 
E l'uomo? L’uomo in questa vicenda sembra non entrarci per nulla. Ecco, allora l'illustre Langone lasci perdere e faccia gestire queste cose a noi donne, che abbiamo un po' di idee su come aumentare il tasso di natalità in Italia.  Sarà anche perché molte di noi, oltre che essere donne, hanno studiato.

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