Direzione Pd: la relazione di Gabriele Riva |
Con la direzione di stasera formalmente riprende l’attività politica del nostro partito che, dopo la lunga stagione congressuale e la rapida ma convulsa campagna per le regionali, ha ora di fronte a sé il giusto spazio per una elaborazione politica di più ampio respiro. Elaborazione politica che deve riuscire a creare una forte cornice d’insieme rispetto alle singole progettualità tematiche: è da questa cornice che vorrei partire. Dire alla fine di ogni analisi elettorale che si deve ripartire da radicamento e rinnovamento non può più bastare: il gap tra il nostro partito e i territori che vogliamo rappresentare è troppo marcato. In un quadro politico nel quale le parole d’ordine e la rappresentatività mediatica sono basilari è inutile cullarsi nel sogno di progetti che d’incanto ribaltino la percezione degli elettori. Percezione che in questi territori è paradossalmente all’opposto di quella che dovrebbe fisiologicamente essere. Al Nord il partito Democratico, e dobbiamo dirlo con forza e onestà intellettuale, è visto come il partito della conservazione, il partito che su battaglie ideal-ideologiche dice no a qualsiasi proposta di cambiamento, il partito che a prescindere boccia qualsiasi proposta innovativa della maggioranza, e purtroppo anche le proposte peggiorative possono essere lette come innovative. Se ci pensiamo bene le nostre ultime battaglie sono state sulla costituzione, sulla scuola, sul lavoro, sui diritti, persino sull’acqua tutte battaglie nelle quali ad una proposta di cambiamento abbiamo presentato la difesa strenua dell’esistente. Badate bene, lungi da me credere che fossero positivi i propositi di cambiamento della destra o della Lega ma il risultato è sempre stato quello di una forza politica non in grado di proporre una sua agenda politica e in perenne rincorsa dell’avversario. Siamo al paradosso per il quale siamo costretti a difendere il tema del tricolore, dell’inno e dell’amor patrio, da sempre in europa temi del conservatorismo di destra. E’ chiaro che fino ad oggi, in territori come i nostri nei quali non siamo culturalmente egemoni, per utilizzare un eufemismo, difendere l’esistente, per quanto sia importante, non riesce a proiettarci in una dimensione riformista, non riesce a darci l’immagine che vorremmo di partito dell’innovazione. In questo momento, e non a caso riscuote ampio successo nei giovani e giovanissimi, è la Lega il partito di cambiamento per questi territori, pur con tutte le sue contraddizioni che noi proviamo costantemente a mettere in luce. Ragionare di questione settentrionale, di partito del nord, di partito federato vuole semplicemente dire rendersi conto che la proposta politica in questi territori deve essere per sua natura una proposta di rottura, di cambiamento. E allora sull’autonomia dei territori e degli enti locali non basta dire no allo pseudo federalismo in salsa leghista, dobbiamo noi rilanciare la sfida, noi che abbiamo di fatto tracciato il solco con la riforma del titolo quinto, sull’ambiente non basta dire no al nucleare ma rilanciare noi a partire dalle sollecitazioni europee (vedi la covenant of mayor alla quale hanno aderito molti nostri amministratori) su un grande progetto di green economy, sul lavoro non basta chiudersi a riccio sullo statuto dei lavoratori o celebrarne i quarant’anni, per quanto importante sia, ma affrontare il nodo gordiano di uno strumento che ormai parla ad una minoranza di lavoratori con una proposta seria e condivisa di riforma del mercato del lavoro che diventi il nostro cavallo di battaglia, anche per intercettare le questioni poste dalle giovani generazioni. |