Misiani: «Quando Lusi mi invitò a pranzo al Rosetta»



Dal corriere bergamo, 13 marzo

Il deputato e tesoriere del Pd spiega il suo ruolo e i rapporti con l'ex collega della Margherita: «Per il mio incarico non guadagno un euro in più e non ho privilegi»

Antonio MisianiAntonio Misiani
«Sono stato invitato a pranzo due volte da Luigi Lusi. Siamo andati al ristorante La Rosetta, quello degli spaghetti al caviale. Abbiamo mangiato solo due antipasti di pesce. Eravamo di corsa. Chi ha pagato? Lui, naturalmente».
Antonio Misiani, deputato bergamasco e tesoriere nazionale del Partito Democratico, conosce bene l'ex collega della Margherita. Non solo per gli incontri conviviali, nel suo caso più morigerati di quelli che hanno riempito le cronache dei giorni scorsi.
«Con la Margherita abbiamo avuto diversi rapporti economici, visto che il Pd nasce dalla fusione con i Ds».
È rimasto stupito da quanto emerso? 
«Sicuramente il quadro di illegalità che è emerso mi ha sconvolto».
Che tipo di interlocutore era Lusi? 
«Tosto. Competente e molto attento fino al limite della pignoleria».
Che tipo di rapporti avete avuto? 
«Abbiamo definito il contratto di affitto della sede nazionale e tracciato il percorso per l'assunzione di alcuni ex dipendenti della Margherita».
Dalle cronache emerge che largheggiava con i soldi. Anche con lei?
«No, no, era un duro. Con il mio predecessore Mauro Agostini aveva rapporti conflittuali. Con me sono stati più distesi».
Come ha potuto fare quello che ha fatto senza che nessuno se ne accorgesse?
«I controlli interni ed esterni sono del tutto insufficienti. Vanno rivisti. Altrimenti rimane una troppo ampia discrezionalità in capo ai tesorieri. Il bilancio del Pd è sottoposto alla certificazione di una società indipendente. Da noi un caso simile non sarebbe potuto accadere».
Anche lei gode di ampia discrezionalità.
«Sì, come rappresentante legale ho potere di firma su tutti gli atti economici e patrimoniali».
Insomma, se le venisse in mente di comprare una villa... 
«Teoricamente, potrei farlo senza chiedere niente a nessuno. Non c'è il vincolo di un assenso preventivo».
Chi le ha chiesto di fare il tesoriere?
«Il segretario Bersani».
Qual è stata la sua reazione?
«Mi sono tremate le gambe. Gli ho chiesto 24 ore e poi gli ho detto sì. Avevo dei pregiudizi rispetto a questo incarico. I tesorieri non godono di buona stampa».
Sono giudizi infondati? 
«Ho trovato offensivo Lusi quando ha detto: faccio il tesoriere, non il santo. Conosco un sacco di persone che si spendono per la causa comune senza intascare un euro».
Quanto prende per fare il tesoriere?
«Neanche un centesimo».
E perché lo fa, allora? 
«Me l'ha chiesto il mio segretario. Il mio predecessore aveva un'auto di servizio, io vi ho rinunciato».
Lo sa che i bergamaschi che hanno fatto i tesorieri (da Severino Citaristi ad Alessandro Patelli passando per Vincenzo Balzamo) sono finiti «male»?
«Spero che a me vada diversamente. E comunque non vorrei fare solo il tesoriere».
Lei ha un potere enorme. Lo esercita? 
«Ne sono consapevole ma non ne abuso. Conduco una vita normale».
In vacanza va alle Bahamas o in qualche altra località esotica?
«Vado a Bisceglie, paese di origine di mia moglie Ines, nella casa di mia cognata. E' un bel posto, certo non glamour come altre località».
Per pranzi e cene sceglie ristoranti esclusivi?
«Esco con i colleghi e di norma non spendo più di 40 euro. Il partito ne rimborsa non più di 25. Anche al segretario Bersani».
Almeno come casa avrà trovato un villone...
«Macché, condivido con il collega Giulio Calvisi un bilocale nel quartiere Monti. Ci costa 1700 euro al mese di affitto».
I compagni di partito le hanno mai chiesto favori? 
«Favori no, raccomandazioni per assumere qualcuno sì».
Da dove arrivano e dove finiscono i soldi del Pd? 
«Le entrate ammontano a 65 milioni: 90 per cento come rimborsi elettorali, il resto come erogazioni liberali. Quanto alle spese, il 20 per cento è il costo del personale, l'11 per cento le spese di struttura (sede), il 18 per cento i trasferimenti al territorio. Il resto serve per l'attività politica e le campagne elettorali».
Si può fare a meno del finanziamento pubblico ai partiti? 
«No, è previsto in tutte le democrazie. Il problema, semmai, è di garantire la massima trasparenza».
Negli ultimi mesi diversi esponenti del Pd sono rimasti invischiati in inchieste giudiziarie. C'è una questione morale nel suo partito? 
«C'è nel Paese. Secondo la Corte dei Conti la corruzione si porta via 60 miliardi all'anno. Ridurre tutto solo alla politica è sbagliato».
Fare carriera politica le ha giovato, a giudicare dal reddito.
«Il ruolo è ben retribuito (reddito lordo di 128 mila euro). Ci ha guadagnato il portafoglio, non certo la qualità della vita».
Qualcuno potrebbe risponderle: sempre meglio che lavorare...
Chi svolge questo ruolo in modo serio lavora molto. Se poi fa anche il tesoriere... Questo mestiere non regala certo la fama né accende le luci della ribalta. Son solo rogne.
Cesare Zapperi

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